venerdì 13 marzo 2009

i numeri della oppressione israeliana contro i palestinesi negli otto anni dall'inizio della seconda intifada



I dati sono riferiti ad Ottobre 2008 - PRIMA DELLA MATTANZA DI DICEMBRE(Durata dei bombardamenti israeliani: 23 giorni (dal 27 Dicembre 2008 al 18 Gennaio 2009)

Vittime Palestinesi: oltre 1.300 di cui 412 bambini e 111 donne. L’82,6% delle vittime non era coinvolta nei combattimenti: tra queste anche 7 medici e 167 membri della polizia palestinese. Feriti Palestinesi: 5,300 di cui 1.855 bambini e 795 donne.
Case distrutte: 2.400, di cui 490 centrate dai bombardamenti aerei.
Edifici Palestinesi distrutti: 28 edifici pubblici e amministrativi, 30 moschee e 121 locali commerciali, 60 stazioni di polizia e 29 scuole.
Numero di bombardamenti Israeliani: secondo fonti israeliane i lanci sono stati almeno 2.500.
Vittime Israeliane dei razzi Palestinesi: 13 civili e 9 militari ( di cui 6 per “fuoco amico”).

I numeri della oppressione israeliana contro i palestinesi negli anni otto anni dall'inizio della seconda Intifada

Negli otto anni trascorsi dallo scoppio della seconda Intifada o Intifada di al-Aqsa, nel settembre del 2000, le forze di occupazione israeliane hanno intensificato le aggressioni contro la popolazione palestinese. Questi sono i risultati:

Morti e feriti. Secondo una ricerca condotta dai Comitati per il lavoro sanitario, i militari hanno ucciso 5389 palestinesi tra Cisgiordania, Striscia di Gaza, Gerusalemme e Israele. 75 cittadini, in prevalenza agricoltori, bambini e donne sono stati uccisi dai coloni. La maggior parte degli omicidi è avvenuto alla presenza di soldati dell’occupazione.

32.720 sono i palestinesi feriti: 3530 hanno riportato handicap permanenti.

I bambini uccisi sono 995. Shadha Odeh, direttrice generale dei Comitati per il lavoro sanitario, ha spiegato che tra le vittime ci sono 194 donne, 995 bambini e 4200 uomini. 492 sono stati uccisi dai bombardamenti. 746 militanti sono stati ammazzati attraverso operazioni mirate. 233 sono morti sui “campi di battaglia”.

Malati morti ai checkpoint. 135 malati sono morti a causa dell’impossibilità di raggiungere gli ospedali e i centri medici. Sono stati registrati 70 parti ai checkpoint: 35 neonati sono deceduti a seguito delle complicazioni igienico-sanitarie.
I posti di blocco sono 630, di cui 93 con la presenza di soldati e 537 formati da barriere di cemento e di cumuli di terra. L’esercito israeliano ha chiuso il 65% delle strade della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

Malati e assedio. Durante oltre un anno di assedio alla Striscia di Gaza, sono morti più di 220 malati a causa della mancanca di medicine e del divieto di recarsi all’estero per le cure mediche.

Medici e studenti nel mirino. I Comitati hanno denunciato l’uccisione di 40 operatori sanitari, tra medici, soccorritori e infermieri, e il ferimento di centinaia di altri.
Gli studenti uccisi sono 664, di 199 erano universitari. I feriti sono 3602, di cui 1245 gli universitari. 37 sono gli insegnanti uccisi e 55 i feriti.

65 mila detenuti. Per quanto riguarda gli arresti, durante gli otto anni di Intifada, 65.000 palestinesi sono stati imprigionati. 8459, tra cui 78 donne, sono tuttora detenuti nelle prigioni israeliane.

Sono 195 i prigionieri morti durante la detenzione. A provocare il decesso è stata la mancanza di adeguate condizioni igienico-sanitarie, di cure mediche e interventi chirurgici quando necessari, le torture e le esecuzioni vere e proprie. 1300 soffrono di malattie croniche, La legge per “la sicurezza generale in Israele” permette la tortura psicologica e fisica dei detenuti palestinesi.

Pratiche punitive contro i prigionieri. Ai detenuti malati non vengono somministrate medicine. Per ogni genere di patologia vengono dati solo “calmanti”. Non vengono eseguite operazioni chirurgiche. Gli infermieri non sono sempre presenti. Le prigioni sono prive di attrezzature mediche e apparecchiature per la respirazione. L’alimentazione è carente e i malati infettivi vivono in promiscuità con i sani. Quando vengono trasferiti, i detenuti malati sono ammanettati mani e piedi e visitati da dietro una rete. Sono lasciati in stanze umide e mal areate.
Donne prigioniere. La maggior parte, in particolare le donne incinte e le madri, sono rinchiuse nelle carceri di Talmud e ar-Ramleh, dove manca anche la ginecologa. Al momento del parto, le detenute sono legate. Il neonato viene trattato come un prigioniero: non riceve cure mediche e alimentazione adeguata.

(fonte: Infopal.it)

lunedì 9 marzo 2009

SABATO 14 MARZO ORE 17.00

C I R C O L O 1° M A G G I O

Via di Porta San Marco, 38 PISTOIA

C’era una volta un paese…e quel paese adesso non c’è più.
Crisi sociale, economica e istituzionale. Nazionalismi, comunità escludenti e identità.
Il caso della ex-Jugoslavia fino alle pulizie etniche degli anni ’90.

Incontro a cura di
Stefano Bartolini
dell’ Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea



In uno stato di crisi sociale, gli individui, invece di incolpare se stessi, tendono necessariamente a incolpare sia la società nel suo insieme, il che li porta al disimpegno, sia altri individui che sembrano loro particolarmente nocivi per ragioni facili da scoprire. In uno stato di crisi sociale, le persone spaventate si radunano insieme e diventano una folla, e la folla per definizione cerca l’azione, ma non può agire sulle cause naturali della crisi. Cerca dunque una causa accessibile che sazi la sua brama di violenza. Il resto è piuttosto disorientante, ma facile da realizzare e da comprendere. […] Intendiamoci bene: la crisi sociale causata dai mezzi convenzionali di protezione collettiva non è una specialità dei Balcani. E’, a diversi livelli di condensazione e acutezza, un’esperienza comune a tutto il nostro pianeta in rapida globalizzazione. Le sue conseguenze nei Balcani sono state forse insolitamente estreme, ma meccanismi simili sono all’opera ovunque, anche se le cose magari non sospingono tanto avanti come nei Balcani, e il dramma è in sordina, talvolta addirittura non udibile. Ma desideri molto simili e impulsi ineludibili spingono la gente all’azione ogniqualvolta si avvertono gli spaventosi e sconvolgenti effetti della crisi sociale.
Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità.


Comitato Antifascista San Lorenzo

giovedì 5 marzo 2009

Dossier rivela progetto israeliano per costruire 73 mila nuove unità abitative in Cisgiordania e a Gerusalemme

da InfoPal 2009-03-04

Gerusalemme – Infopal. Un dossier israeliano ha rivelato che il Ministero dell’Edilizia Abitativa ha progettato la costruzione di 73.300 unità abitative nelle colonie che si trovano in Cisgiordania e nella parte orientale di Gerusalemme.

L’organizzazione israeliana per i diritti umani Peace Now ha dichiarato in un suo rapporto che il Ministero ha decretato la costruzione di almeno 15 mila unità abitative. Vi sarebbero inoltre progetti per la costruzione di altre 58 mila ancora da approvare. Ha riferito di aver raccolto questi dati sul sito online dell’occupazione denominato Portale Geografico Nazionale, in cui si trovano carte e informazioni attinenti ai progetti abitativi israeliani.

300 mila coloni. Le unità abitative pianificate sarebbero 73.302, di cui 5.722 nella parte orientale di Gerusalemme. Sarebbero state approvate 15.156 unità, di cui 8.950 già costruite, mentre altre 58.146 unità sarebbero in fase di progettazione.

Peace Now ha riferito che con la realizzazione di questi progetti il numero dei coloni dovrebbe aumentare di almeno 300 mila unità.

L’organizzazione ha rivelato inoltre l’esistenza di un progetto dello stesso Ministero per costruire 17 mila unità abitative in nuovi siti posti al di fuori del blocco coloniale Gush Etzion, costruito tra Gerusalemme e Hebron. Il progetto comprende sei focolai coloniali irregolari.

Grandi progetti. Secondo il dossier, i dati raccolti riguarderebbero una minima parte dei progetti di costruzione che il Ministero dell’Edilizia Abitativa intende portare avanti e in cui sono compresi quelli per l’edificazione di migliaia di nuove unità abitative nelle colonie già esistenti. Vi sarebbero progetti imponenti per moltiplicare il numero di coloni a Bitar Elit, Ariel, Gifat Zaif, Ma‘ale Adumim, Ifrat e Gifa Binjamin, senza contare quelli per costruire 19 mila nuove unità nelle colonie che si trovano a est del muro, tra cui Kiriat Arba a Hebron, Karni Shomron, Ariel, Gifa Binjamin, Emanuel, Rofafa.

Dividere la Cisgiordania. Peace Now ha riferito infine di un piano per l’edificazione di tremila unità abitative nella zona A1, posta tra Gerusalemme e la colonia Ma‘ale Adumim. Questo porterebbe alla divisione tra il nord e il sud della Cisgiordania.

Il segretario di Peace Now, Yariv Ovenhaimer, ha dichiarato alla radio dell’esercito israeliano che “nel caso in cui venga realizzato, questo progetto coloniale impedirà definitivamente la nascita di uno Stato palestinese”. Ha quindi sottolineato con forza che “l’esistenza stessa di questi progetti significa la fine della prospettiva di due Stati per due popoli. Significa trasformare l’area compresa tra il Giordano e il Mediterraneo a un unico Stato che impedirà il raggiungimento di una soluzione reale alla questione palestinese”.

mercoledì 4 marzo 2009

RIFLESSIONI del Comandante

Cambi sani nel Consiglio dei Ministri

“In occasione dei cambi in seno all'Esecutivo, alcune agenzie di stampa si stracciano le vesti.
Alcune di loro parlano o si fanno eco di voci “popolari” sulla sostituzione degli “uomini di Fidel” con gli “uomini di Raul".
La maggioranza di quelli che sono stati sostituiti non li avevo proposti io in nessun momento. Quasi senza eccezione sono giunti ai loro incarichi proposti da altri compagni della direzione del Partito o dello Stato. Non mi sono mai dedicato a questo mestiere. Non ho mai sottovalutato l'intelligenza umana, né la vanità degli uomini.
I nuovi ministri appena nominati sono stati consultati con me, nonostante nessuna norma obbliga coloro che li hanno proposti a questa condotta, dato che ho rinunciato da tempo alle prerogative del potere. Hanno semplicemente agito come autentici rivoluzionari che possiedono in sé stessi la lealtà ai principi.
Non è stata commessa alcuna ingiustizia con determinati quadri.
Nessuno dei due nominati dalle agenzie come i più colpiti, ha pronunciato una sola parola per esprimere un qualsiasi disaccordo. Non era assolutamente mancanza di valore personale. La ragione era un'altra. Il miele del potere per cui non hanno conosciuto alcun sacrificio, ha risvegliato in loro ambizioni che li hanno condotti ad un ruolo indegno. Con loro, il nemico esterno si è riempito d'illusioni.
Non accetto che si mischi ora il pettegolezzo con il Mondiale di Baseball che inizia tra poco. Ho detto molto chiaramente che i nostri atleti del baseball sono giovani di prima linea e uomini di “patria o morte”.
Come ho già affermato in altre occasioni, torneremo con lo scudo o sopra lo scudo.
Vinceremo perché sappiamo e possiamo fare qualcosa che possono solo gli uomini liberi, senza padroni, non i giocatori professionisti.
Ieri sera, Leonel Fernandez mi raccontava che gli eccellenti giocatori professionisti domenicani non volevano partecipare a queste partite; la loro assenza sarà un dolore per il popolo che li ha visti nascere.
Chavez ignora ancora perché i suoi magnifici lanciatori e battitori saranno sconfitti dai nostri atleti.
La squadra cubana che quest'anno misurerà la propria forza con i migliori professionisti delle Major League degli Stati Uniti e del Giappone è molto più forte ed è meglio allenata di tre anni fa.
Nonostante la giovane età, molti di loro sono già dei veterani. Nessuno degli uomini che componevano la squadra è rimasto a casa, tranne che per motivi di salute
M'assumo la totale responsabilità per il successo o per il fallimento. La vittoria sarà di tutti; la sconfitta non sarà mai orfana.

Patria o Morte! Vinceremo!

Fidel Castro Ruz

3 Marzo 2009

11 e 32 a.m”.

lunedì 2 marzo 2009

METTIAMO RADICI AL DAL MOLIN: COMPRIAMO UN PEZZO DI PRESIDIO



Alle migliaia di donne e uomini che, da tutta Italia, hanno affiancato con il proprio sostegno e con la propria partecipazione la mobilitazione dei vicentini contro la costruzione della nuova base USA, chiediamo di contribuire alla realizzazione del nostro progetto di acquistare un terreno per il Presidio No Dal Molin.

Abbiamo alle spalle più di due anni di lotta,iniziative ed azioni, tutte rivolte ad un unico obiettivo: bloccare la costruzione della nuova base militare. Tutto ciò è stato sinora possibile grazie all’impegno di centinaia di donne e uomini che hanno unito i loro sogni, speranze ed ideali in un unico luogo di ritrovo, discussione e socialità: il Presidio Permanente che dal 16 gennaio 2007 è il simbolo di una lotta comune.

Ora questo luogo, simbolo e punto di riferimento per tutti coloro che, a Vicenza ed altrove, si impegnano nella difesa dei beni comuni e della pace, deve essere rafforzato, uscendo dalla precarietà vissuta fino ad oggi.

Il periodo che ci aspetta è decisivo per bloccare la nuova base Usa, ed il rischio di non avere un luogo fisico per il Presidio finirebbe per mettere in difficoltà la lotta che da oltre due anni stiamo conducendo, rendendola più debole. La posta in gioco è quindi troppo alta, e l’autosostegno economico dei vicentini, che ha permesso al Presidio di continuare caparbiamente ad esistere, oggi non basta più: abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti.

L’intenzione è quella di acquistare, tutti assieme, un terreno adiacente all’area Dal Molin per far sì che il Presidio metta radici e diventi definitivo. Per far questo, oltre alla solita determinazione e piccola vena di follia, servono somme ingenti: per questo rivolgiamo un appello a tutte e tutti, in Italia e all’estero, perché ci aiutino contribuendo con l’acquisto di una o più quote da 100 Euro per il nuovo Presidio o, in alternativa, divenendo “sostenitore attivo” con il versamento di 50 Euro (25 Euro per studenti e precari).


Istruzioni per l'uso
L'acquisto di una quota di proprietà indivisa del terreno del Presidio Permanente, al prezzo minimo di € 100,00-., determina il possesso di una percentuale dell'acquisto totale in proporzione all'importo versato.

- si tratta di un formale rogito notarile e, quindi, sarà necessaria la presenza fisica a Vicenza di tutti gli acquirenti il giorno della firma dell’atto
- chi non potrà essere presente dovrà farsi rappresentare da una persona munita di procura notarile. La procura può essere collettiva
- l’importo di € 100,00 comprende il costo di una quota del terreno, il pagamento del rogito notarile ed il pagamento di tutte le tasse e imposte di registrazione
- per ogni versamento di quota ci deve pervenire il modulo compilato e firmato, con l’indicazione dei dati necessari per la redazione dell’atto, accompagnato dalla fotocopia del codice fiscale e di un documento d'identità
- nel caso di coniugi in comunione dei beni, l’atto dovrà essere firmato da entrambi e, quindi, ci servono tutti i dati.

Scarica il modulo di adesione all'acquisto
Il modulo, oltre che tramite posta alla casella postale 303, 36100 Vicenza, si può inviare anche via fax al n. 06 91594471

Come contribuire- direttamente dal sito, con Paypal, cliccando di seguito:


- con carta di credito (in attivazione)

- con un versamento sul conto conto corrente presso la Banca Popolare Etica di Vicenza conto No Dal Molin IT07B0501811800000000120140 causale “Radici al Dal Molin”


ContattiPer informazioni e approfondimenti su come sostenere il Presidio Permanente No Dal Molin scrivi a sostegno@nodalmolin.it
telefono 3357940974

L’FPLP chiede che Amnesty International la faccia finita con la falsa equiparazione tra occupante ed occupato

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) ha preso in esame il nuovo rapporto di Amnesty International del 23 febbraio 2009, sostenendo che le organizzazioni per i diritti umani devono finirla con la loro equiparazione tra la vittima ed il carnefice, dovendo invece esercitare pressioni sull’occupante affinché metta fine ai suoi attacchi contro il nostro popolo palestinese sotto occupazione.


Il rapporto di Amnesty International fa appello affinché si ponga fine a tutti i “rifornimenti esterni” di armi in Palestina, chiedendo che gli U.S.A. e gli altri regimi smettano di armare l’occupante israeliano, ma ha anche denunciato la resistenza palestinese, non riconoscendo la sua legittimità internazionale in qualità di popolo sotto occupazione che lotta per la liberazione nazionale e per il raggiungimento dei suoi diritti; il che è in contrasto col diritto internazionale che riconosce il diritto dei popoli sotto occupazione a resistere alla stessa per ottenere la libertà e l’indipendenza.


Piuttosto che rafforzare i diritti del popolo palestinese contro un occupante impegnato in una brutale aggressione, il rapporto di Amnesty International equipara le organizzazioni della resistenza palestinese all’esercito d’occupazione, ignorando le loro rispettive posizioni di popolo sotto occupazione e di forza d’occupazione. L’FPLP ha dichiarato che l’appello di Amnesty International per un embargo totale sulla vendita di armi ad Israele ed alle organizzazioni della resistenza palestinese è un orribile errore che presenta una falsa equazione. Amnesty dovrebbe invece concentrarsi sull’aggressione dell’occupante contro il nostro popolo e sull’utilizzo di armi proibite a livello internazionale (incluse quelle al fosforo bianco ed all’uranio impoverito) contro i civili nel corso del recente attacco a Gaza.


La dichiarazione dell’FPLP sostiene che realizzando la falsa equiparazione, Amnesty premia l’occupazione per i suoi crimini contro il nostro popolo. Chiama poi le organizzazioni internazionali e quelle per i diritti umani ad essere attente, leali e precise nei loro comunicati e a riconoscere la chiara ed ovvia distinzione tra una forza d’occupazione che opprime la popolazione indigena e un popolo sotto occupazione che lotta per la sua libertà, e ad esercitare il loro ruolo per esercitare pressioni sull’aggressore affinché termini i suoi attacchi e rispetti il diritto internazionale.


Tratto da: http://www.pflp.ps/english/

Traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

coll.autorg.universitario@gmail.com

http://cau.noblogs.org

Con Israele non sarà mai pace

Intervista di Gianni Perrelli a Khaled Meshaal

Esclusivo: parla il leader di Hamas in esilio. Annuncia un imminente conflitto. Perché Tel Aviv, dice, non è interessato alle ragioni palestinesi. E dall'America sono arrivate solo parole da Damasco colloquio con Khaled Meshaal

Nel nome di Dio clemente e misericordioso vorrei porre io la prima domanda. È possibile che dopo la guerra di Gaza e la nostra eroica resistenza Israele non abbia ancora capito che nel processo di pace non si può fare a meno di Hamas...?
Khaled Meshaal, leader di Hamas, da oltre 40 anni in esilio, lancia l'interrogativo con aria di sfida. Nonostante le gravi perdite (1.400 i palestinesi morti) rivendica la vittoria per il ritiro delle truppe deciso dagli israeliani. Ma mostra di non nutrire illusioni sui tempi brevi. Con il nuovo governo di Benjamin Netanyahu alle porte, si attende solo altre ostilità da Israele. E non nutrendo grandi aspettative neanche sui primi passi di Barack Obama, annuncia la volontà di proseguire sulla strada della forza, "l'unico linguaggio che Israele teme e che può produrre risultati".

Questa intervista esclusiva a 'L'espresso', ottenuta dopo complicate trattative fra Beirut e la capitale siriana, è la prima che Meshaal rilascia alla stampa scritta dopo la guerra. L'abbiamo incontrato in una sede superblindata alla periferia di Damasco, raggiunta in una macchina con i vetri oscurati. Davanti al portone, militanti armati di Kalashnikov. Misure di sicurezza imposte dall'alto numero (45) di dirigenti del movimento eliminati da Israele. Il capo, in abito grigio e senza cravatta, appare cordiale e rilassato.

Mantiene sempre la flemma in una conversazione che prende le mosse dall'incarico di governo affidato a Netanyahu, il premier che nel '97 ad Amman inviò una squadra del Mossad per avvelenarlo. "Netanyahu è stato il mandante del mio mancato assassinio, ma lui come tutti i premier israeliani ha soprattutto la responsabilità di aver attentato alla vita dell'intero popolo palestinese. Ci sono solo sfumature e non differenze sostanziali fra le posizioni del Likud, di Kadima e del Labour. Da 60 anni non c'è stato un solo governo israeliano che non abbia commesso crimini contro di noi. È meglio fronteggiare una leadership conservatrice che persegue chiaramente i suoi fini piuttosto che l'ipocrisia dei laburisti che fanno solo finta di impegnarsi nel processo di pace e durante i loro governi hanno costruito in Cisgiordania la maggior parte degli insediamenti".

Ma con Netanyahu, se Hamas non si apre al dialogo, non si scivola verso un'altra guerra?"Non siamo preoccupati di una nuova guerra. Il nostro popolo non sarà mai sconfitto e mai si arrenderà. La sfida ci rafforza perché loro hanno paura di morire e noi no. La pace è possibile solo se nasce una volontà internazionale che prema per il riconoscimento dei nostri diritti. L'obiettivo resta la costituzione di uno Stato palestinese con Gerusalemme Est capitale, il ritorno degli israeliani ai confini antecedenti la guerra del '67 e il diritto al rimpatrio dei profughi. Meno di questo non possiamo accettare. C'è mai stato un governo di Israele che abbia ritenuto giusto venire incontro alle nostre aspirazioni? Dicono di no a tutto e simulano di essere interessati a una soluzione. Su cosa resta da trattare, allora?".

Con l'Anp e Fatah lo Stato ebraico si confronta. Hamas come può sperare nella comprensione se continua a lanciare razzi su Israele?"Buona domanda che mi dà occasione di chiarire perché la tregua di sei mesi scaduta in dicembre non sia stata protratta. Israele si era impegnato a porre fine all'assedio di Gaza e ad aprire i varchi. Nulla di tutto ciò è successo. Vogliono asfissiarci, relegarci in un 'bantustan'. Come si fa a parlare di tregua quando si è sotto assedio? Per garantirsi la sicurezza Israele si ostina nell'errore di scommettere sulla sconfitta militare del nostro popolo. Io ho studiato fisica e sono convinto che anche nelle relazioni politiche valga la legge di Newton: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Quando cesserà l'aggressione finirà anche la nostra resistenza. Ma se le porte rimarranno chiuse, l'unico sbocco, ripeto, resta la lotta".

Che vi lascia isolati.
"Il mondo dovrà prima o poi aprire gli occhi. La comunità internazionale continua a vedere solo i nostri razzi e a ignorare i loro F 16, e l'uso di bombe al fosforo. Israele si giova del sostegno a priori degli americani, della scarsa credibilità dell'Onu indebolita dalle pressioni di Washington e dalla nebulosità totale dell'Europa che si dimostra inerte o timida. Come fanno tanti leader europei a rimanere impassibili quando vengono calpestati i valori basilari - libertà, diritti umani - della democrazia? Come fanno a non rendersi conto che con una forza di popolo come Hamas non si può non venire a patti?".

Ma con Obama il quadro sta cambiando."Tutti lo speriamo. Occorre però un cambiamento sostanziale. Obama parla un linguaggio nuovo, ma non so se è sufficiente. Ci vuole una politica nuova".

Se potesse incontrare Obama cosa gli direbbe?"Incontrarlo? Ma se neanche mi ha depennato dalla lista dei terroristi... Ma è certo che senza trattare con Hamas neppure Obama potrà fare molta strada. Comunque lo inviterei a considerare l'opportunità di una svolta. Non ci si può appiattire su Israele ignorando i diritti degli altri popoli. Questo cambio di approccio sarebbe nell'interesse non solo della Palestina, ma dell'intero Medio Oriente e degli stessi Stati Uniti. L'America è parte in causa e sarà la prima a perdere se svanirà la prospettiva di pace. I primi segnali purtroppo non sono incoraggianti. Il senatore John Kerry, in visita a Gaza, è rimasto sì sconvolto dalla distruzione, ma ha ribadito il diritto di Israele a difendersi".

E come si fa a negarlo? Israele paga da decenni un altissimo tributo di sangue innocente. Prima con gli attentati kamikaze, oggi coi lanci dei razzi anche se nell'ultima guerra c'è stata una sproporzione enorme fra le vostre perdite e le loro.
"Non siamo sanguinari come ci dipingono. Non vorremmo vittime innocenti, né da noi né da loro. Ma la questione palestinese è diventata una patologia grave. E chi con onestà cerca di diagnosticare le cause non può che individuare nell'occupazione il primo fattore. A noi non resta che reagire".

La comunità internazionale sarebbe più attenta alle vostre istanze se riconosceste Israele."Le sembra il momento giusto dopo la barbarie della recente guerra? Israele ha anche troppi riconoscimenti. È il popolo palestinese a dover essere riconosciuto".

C'è chi sostiene che a Gaza dopo la guerra parte della gente stia voltando le spalle a Hamas."Le assicuro che il nostro consenso a Gaza, in Cisgiordania e in tutto il mondo arabo è cresciuto notevolmente. Non ci sentiamo isolati. E neanche ci autoghettizziamo. Gli Stati Uniti ci appiccicano l'etichetta di creature dell'Iran o della Siria. Conosciamo questi strumenti di denigrazione. Ma non riteniamo l'America un giudice imparziale. Apriamo le porte a chiunque voglia aiutarci. E chiediamo a chi ci avversa di dire con chi intende negoziare la pace, visto che non vuol legittimare Hamas, andata al potere con elezioni democratiche".

Nei territori c'è chi vi rimprovera di aver perso il contatto con la Palestina. Il gruppo dirigente di Hamas sarebbe da troppi anni in esilio."Sì, qualcuno lo insinua. Ma è pura speculazione. Siamo tutti figli della Palestina. Io non posso rientrare a causa dell'occupazione. E come me anche tutta la dirigenza dell'Olp ha vissuto per molti anni in esilio non per volontà, ma per costrizione".

A Gaza permane l'incertezza. Olmert subordina la tregua alla liberazione del soldato Shalit."La richiesta aveva già irritato i mediatori egiziani ed è stata seccamente respinta. Olmert è un ipocrita. Solo oggi si ricorda del suo soldato. Noi non accettiamo ricatti. Siamo favorevoli alla liberazione, ma solo tramite uno scambio con i detenuti palestinesi, 12 mila, fra cui bimbi, anziani, malati".

Se venisse liberato Marwan Barghouti il traguardo della riconciliazione sarebbe più facile?
"Ci auguriamo venga liberato. Ma nessuno può riassumere in sé un'intera causa".

Anche all'interno della galassia palestinese c'è bisogno di distensione. È possibile ripristinare un'intesa fra Hamas e la più moderata Al Fatah?
"Le divergenze possono essere superate a patto di osservare alcune regole. Occorre che i fratelli di Al Fatah rispettino i risultati delle urne. E poi consolidare le basi della democrazia all'interno dell'Autorità palestinese. Il principio irrinunciabile è che tutti difendano in primo luogo gli interessi dei palestinesi. Bisogna stabilire che le nostre forze dell'ordine sono al servizio della sicurezza della Palestina e non - con la regia del generale americano Keith Dayton - di quella di Israele".


da: L'Espresso